Stop ai dubbi sull’origine dei tessili dal Bangladesh
È illegittima la rettifica dell’origine dei prodotti tessili importati dal Bangladesh, in quanto tali beni non possono più considerarsi di origine “sospetta”. Un principio che trova ora conferma anche da parte della Corte di Cassazione, la quale con il decreto 9 luglio 2025, n. 18756 ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle dogane, confermando la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, 16 settembre 2024, n. 649.
Tale decisione, richiamando un avviso agli operatori della Commissione europea, ha stabilito che non vi è più nessun “fondato dubbio” sulla veridicità delle attestazioni di origine rilasciate dalle autorità del Bangladesh.
Nel caso esaminato dalla Corte di giustizia tributaria della Liguria, l’Agenzia delle dogane aveva contestato l’origine doganale dei prodotti, emettendo un avviso di accertamento con cui escludeva l’applicazione delle agevolazioni daziarie previste per i Paesi aderenti al Sistema delle preferenze generalizzate (Spg) e richiedeva il pagamento di un dazio del 12% a fronte di un’aliquota dello 0%.
Tale provvedimento era stato adottato esclusivamente sulla base dell’“Avviso agli importatori” della Commissione europea, pubblicato nella Gazzetta ufficiale C 41 del 15 febbraio 2008. Quest’ultimo, tuttavia, è stato successivamente revocato dalla stessa Commissione con l’Avviso n. 2022/C 166/06 del 20 aprile 2022.
Un ulteriore elemento significativo emerso nel corso del giudizio è che la stessa Agenzia delle dogane, dopo aver ricevuto, seppur con ritardo, conferma dalle autorità del Bangladesh circa la regolarità delle operazioni doganali, aveva provveduto ad annullare in autotutela numerosi altri provvedimenti di rettifica.
Come noto, il Bangladesh è uno dei Paesi in via di sviluppo economico, destinatari di agevolazioni unilaterali riconosciute dall’Unione europea all’interno del Sistema delle preferenze generalizzate (c.d. Spg, disciplinato dal Reg. UE 978/2012). Tale strumento, previsto nell’ambito del principio di cooperazione allo sviluppo (art. 208 Tfue), ha l’obiettivo di garantire un accesso agevolato, tramite riduzioni tariffarie o esenzioni, ai beni originari dei Paesi meno sviluppati, per favorirne la crescita economica e la riduzione della povertà. Tale sistema rappresenta, tra l’altro, la più rilevante eccezione al principio WTO della “nazione più favorita”, nell’ambito della c.d. “enabling clause”, condivisa a livello internazionale.
Il sistema Spg costituisce un incentivo non soltanto per lo sviluppo della produzione locale e il rafforzamento del commercio internazionale dei Paesi che ne usufruiscono, ma tende a valorizzare e promuovere un modello virtuoso di crescita economica, politica e sociale. Le agevolazioni, infatti, sono subordinate all’effettiva applicazione di misure a tutela dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente, nonché a limitare fenomeni di corruzione. Il sistema delle preferenze generalizzate è, quindi, sottoposto a un continuo monitoraggio, che determina un aggiornamento continuo dei Paesi beneficiari.
Per accedere alle agevolazioni tariffarie previste dal Spg, i beni importati dai Paesi in via di sviluppo devono presentare i presupposti sostanziali stabiliti dall’art. 64, par. 3, Reg. UE 952/2013 (prodotti interamente ottenuti o lavorazioni sufficienti nel Paese beneficiario) ed essere accompagnati da un documento che ne provi l’origine preferenziale (dichiarazione su fattura o certificato di origine).
Nel corso degli ultimi anni, l’Agenzia delle dogane ha notificato a numerose società importatrici diversi avvisi di rettifica, contestando l’origine dei beni tessili prodotti in Bangladesh.
In particolare, nel caso esaminato dalla sentenza in commento, la contestazione dell’Agenzia delle dogane trae origine da un “avviso agli importatori” del 2008 (2008/C 41/06), con il quale la Commissione Ue ha informato le imprese europee dell’esistenza di “fondati sospetti”, in relazione all’origine dei beni classificati nei capitoli 61 e 62 del Sistema Armonizzato (indumenti e accessori d’abbigliamento a maglia e altri capi e accessori di abbigliamento non a maglia). La Commissione Ue aveva ipotizzato che tali prodotti non avessero subito in Bangladesh una lavorazione sufficiente a conferire l’“origine doganale Bangladesh”. Stando a quanto riportato dalla nota agli importatori del 2008, durante una missione di cooperazione unionale, effettuata con l’assistenza delle autorità locali, sarebbe, infatti, emerso che una percentuale consistente di attestazioni di origine “Form A” erano “falsi o rilasciati sulla base di informazioni fraudolente o fuorvianti”.
Occorre sottolineare che l’Unione europea non ha stabilito, chiaramente, che tutti i certificati di origine rilasciati in Bangladesh fossero falsi, ma si è limitata a invitare gli operatori unionali a prestare particolare “attenzione”, al fine di adottare specifiche misure di prevenzione dei rischi di contestazione, sia tramite un’attenta selezione dei fornitori che attraverso apposite clausole contrattuali.
A seguito della pubblicazione di tale avviso, l’Agenzia delle dogane ha dato luogo a numerosi accertamenti relativi all’origine dei beni importati dal Bangladesh, contestando la veridicità delle attestazioni di origine rilasciate dalle autorità straniere competenti.
A partire dal 1° gennaio 2021 in ambito Spg è stato deciso di superare il meccanismo del certificato delle autorità estere d’esportazione competenti, per evolvere verso un sistema di autocertificazione dell’origine preferenziale da parte dell’esportatore registrato al sistema Rex. Gli esportatori appartenenti ai Paesi beneficiari Spg, preventivamente autorizzati dalla Dogana, possono autocertificare l’origine dei prodotti in fattura, indicando il proprio codice Rex. Le autorità governative dei Paesi beneficiari Spg, dunque, non sono più tenute al rilascio di certificati di origine “Form A”.
La revoca dell’Avviso del 2008 e la conferma della validità dei certificati di origine rappresentano un passaggio decisivo per le imprese europee che importano tessili dal Bangladesh.
La decisione della Corte tributaria della Liguria chiarisce definitivamente che, alla luce delle nuove disposizioni europee, non sussistono più fondati dubbi sull’origine preferenziale dei prodotti tessili provenienti dal Paese, con conseguente illegittimità delle rettifiche doganali fondate sul vecchio Avviso del 2008.
Massimo Monosi
Studio legale Armella & Associati

