Una nuova guerra dei dazi tra UE e Cina
Dal 5 luglio sono in vigore i nuovi dazi compensativi provvisori sulle auto elettriche cinesi. Una misura adottata dall’Unione europea per contrastare la concorrenza delle imprese sovvenzionate dal governo cinese, che rischia di portare a una nuova guerra dei dazi, dalle imprevedibili conseguenze per il nostro export.
Con il Reg. UE 1866/2024, la Commissione europea ha introdotto un dazio compensativo provvisorio compreso tra il 17,4% e il 37,6%, sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina, che si si somma al normale dazio del 10%.
La base giuridica di tale misura rientra nell’ambito della disciplina prevista a livello internazionale dalle regole Wto e, in Europa, dal regolamento UE 1037/2016, che consente di introdurre dazi compensativi, al fine di eliminare gli effetti degli aiuti economici forniti da un Paese estero a favore di determinate imprese. Si tratta dunque di una misura di difesa commerciale finalizzata a neutralizzare gli effetti di un’ingiusta sovvenzione da parte di un Paese estero nei confronti di determinate imprese.
L’inchiesta che ha dato l’avvio all’introduzione dei dazi, per la prima volta, non nasce dalla denuncia di un’associazione di imprese europea, ma da un’indagine avviata d’ufficio dalla Commissione.
Dai dati raccolti durante l’inchiesta, è emerso che le importazioni di veicoli elettrici di origine cinese sono aumentate da 21mila unità nel 2020 a oltre 400mila nel periodo oggetto di inchiesta. La quota di mercato delle importazioni dalla Cina, grazie alle sovvenzioni fornite alle imprese cinesi, è aumentata dal 3,9% nel 2020 al 25% nel periodo dell’inchiesta, con un incremento che supera il 500%.
L’indagine si è svolta in un arco di nove mesi e ha coinvolto diverse imprese cinesi. La misura dei dazi previsti, inizialmente in via provvisoria, per un periodo di quattro mesi, varia in relazione al livello di sussidi ricevuti dalle singole imprese cinesi.
La misura adottata dall’Unione europea rischia di penalizzare la scelta di fonti di energia alternativa nel settore dell’automotive e di danneggiare le imprese europee.
I nuovi dazi, compresi tra il 17,4% e il 37,6% (a cui si somma anche il normale dazio del 10% già applicato per le importazioni di veicoli elettrici), rappresentano, infatti, un costo aggiuntivo per le imprese che importano e saranno inevitabilmente ribaltati sui consumatori, facendo incrementare il costo delle auto elettriche. Le nuove tariffe andranno a penalizzare gli automobilisti più responsabili, che orientano le loro scelte di acquisto ponendo in primo piano il minore impatto ambientale per la collettività e sobbarcandosi gli svantaggi attuali della mobilità elettrica, quali la scarsità di colonnine, i costi energetici, i tempi di ricarica e i costi delle batterie elettriche. È probabile che l’aumento dei prezzi disincentiverà molti consumatori e questo proprio in una fase di transizione epocale, considerato che la Commissione europea ha deciso di mettere al bando entro il 2035 le auto a benzina e diesel. Con il rischio che gli incentivi pubblici per le auto elettriche siano destinati ad alimentare anche i maggiori costi dei nuovi dazi europei.
Molto importanti anche le possibili ripercussioni sulle imprese europee che operano nel settore dell’automotive. L’introduzione dei nuovi dazi provvisori, infatti, potrebbe spingere le aziende cinesi a delocalizzare la produzione verso l’Unione europea.
Occorre considerare, infatti, che la misura si inserisce in un quadro internazionale molto complesso, in cui gli Stati Uniti hanno aumentato i dazi sulle auto elettriche cinesi fino al 100%, mentre la Turchia prevede un dazio del 40% o il pagamento di almeno 7.000 dollari su ogni singola auto elettrica. Anche alcuni Paesi Brics hanno adottato un’analoga politica, con il Sudafrica che applica un dazio pari al 25% e il Brasile che prevede un incremento dal 18% al 35% nel 2026.
Si prevede che le nuove barriere tariffarie possano determinare un cambio nelle strategie di investimento, portando alcune imprese cinesi a produrre in Europa, come già è accaduto per le auto elettriche giapponesi alcuni anni fa. L’ondata di misure protezionistiche sta modificando i piani aziendali e porta alla realizzazione di impianti produttivi nei mercati di destinazione, dando vita al fenomeno del back shoring, dopo anni segnati invece da scelte di politiche di off shoring, da parte delle imprese occidentali, a favore di Cina, India e Vietnam. E infatti, tra i gruppi colpiti dai nuovi dazi vi sono anche alcune case automobilistiche europee che negli anni hanno rafforzato la loro presenza produttiva in Cina, come Bmw e Volkswagen. Proprio per evitare ritorsioni sull’industria europea, la Commissione europea sta valutando una riduzione delle tariffe per questi due produttori.
Le misure adottate nel 2024 dall’Unione europea, tra cui il CBAM e i dazi compensativi sulla mobilità elettrica, rischiano di dar vita a una nuova guerra dei dazi nei confronti della Cina, che a sua volta ha già avviato nuove indagini antidumping nei confronti delle aziende europee, in settori importanti, come la carne di maiale e gli alcolici.
Intraprendere una guerra dei dazi contro la Cina avrà conseguenze significative non soltanto per il settore dell’automotive, ma anche per molte altre aziende italiane che si occupano di export, considerato che verso la Cina esportiamo non solo moda, ma anche chimica, farmaceutica, macchinari, arredo. L’avvio di un nuovo fronte geopolitico, dopo quello (obbligato) con la Russia, dovrebbe essere attentamente considerato, sempre tenendo presente che il 40% del nostro Pil nazionale deriva da esportazioni e che la Cina rappresenta, per l’economia italiana, il secondo Paese extra europeo di destinazione dell’export, subito dopo gli Stati Uniti.
Sara Armella