La dichiarazione Cbam e le novità per le imprese

di Sara Armella 

A gennaio molte imprese dovranno assolvere la dichiarazione relativa al Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism) un nuovo tributo doganale ambientale, che andrà a colpire i prodotti delle industrie più inquinanti dei Paesi extra europei. Molto estesi sono i settori interessati (ferro e acciaio, idrogeno, alluminio, elettricità, cemento e fertilizzanti) e assai complessi sono i dati che devono essere contenuti nella dichiarazione, poiché riguardano gli impianti produttivi esteri e le emissioni da questi realizzate per la fabbricazione del bene importato.

E’ evidente che, per le imprese italiane, si tratta di un adempimento molto impattante. I dati necessari per la dichiarazione richiedono la stretta collaborazione delle imprese estere, l’analisi dei fattori impiegati e il calcolo delle emissioni inquinanti, ivi comprese quelle inerenti la produzione di energia elettrica consumata durante i processi produttivi. Si tratta non soltanto di un perimento estremamente esteso di dati tecnici non facilmente reperibili, ma comprendente anche alcune informazioni rientranti nell’ambito di segreti industriali e altre che non sono nella diretta disponibilità del fornitore estero, ma del gestore dell’impianto produttivo, ruoli che non necessariamente coincidono. Si tratta, dunque, di attivare un confronto serrato con la filiera produttiva extra UE, per rispettare la scadenza del mese di gennaio e modificare anche, molto spesso, i termini contrattuali, per inserirvi gli obblighi di fornire informazioni tempestive e veritiere, considerato che una dichiarazione contenente dati non corretti è sanzionata nei confronti dell’importatore.

Con il Cbam si assiste a un cambio di paradigma, con una forte responsabilizzazione delle imprese che si riforniscono in Paesi non appartenenti all’Unione europea, alle quali è richiesto di farsi carico dell’intera filiera produttiva, del suo impatto ambientale e anche della trasparenza nella gestione delle relazioni commerciali. Di fatto, l’obiettivo del nuovo dazio risiede non soltanto nel contrasto alla scelta di fornitori esteri che adottano sistemi di produzione inquinanti, ma anche nell’eliminazione del vantaggio competitivo reso possibile dalle legislazioni estere (soprattutto in Cina e India) che adottano standard arretrati dal punto di vista delle emissioni.

Eliminato il vantaggio economico finora assicurato dal minore costo del prodotto inquinante (c.d. dumping ambientale), si stimola anche il reshoring, ossia il riportare nei confini europei molte produzioni che, proprio per più rigorose regole ambientali dell’UE, erano state delocalizzate in Paesi terzi.

Va ricordato che i nuovi adempimenti dichiarativi, che scattano dal mese di gennaio e avranno cadenza trimestrale, non comportano al momento esborsi economici: fino a gennaio 2026, infatti, il nuovo sistema opererà in modalità provvisoria, imponendo obblighi di informazione e dichiarazione, ma senza specifici costi per le imprese. Dal 2026, invece, per superare le frontiere europee, occorrerà acquistare i certificati corrispondenti alle emissioni incorporate nei prodotti Cbam importati e dunque ogni impresa dovrà operare un’attenta pianificazione anche di questi aspetti economici.

Nelle poche settimane che ci separano dalla prima dichiarazione, l’attività è concentrata sul comprendere se i prodotti importati ricadono nel perimetro Cbam (attività per cui si svolge una due diligence dei codici di classifica doganale e sull’origine dei beni) e, in caso positivo, scatta la fase due, con una corsa contro il tempo per acquisire moltissime informazioni tecniche.