Esclusa la responsabilità del CAD per dazi e Iva
Non risponde dei dazi e dell’Iva pretesi il CAD che, agendo in procedura domiciliata, è stato obbligato a operare in rappresentanza indiretta. La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 marzo 2024, n. 7870, ribadisce l’illegittimità della prassi adottata dall’Agenzia delle dogane per oltre un decennio, che obbligava i CAD che agivano in procedura domiciliata a utilizzare la rappresentanza indiretta.
Com’è noto, a partire dal 2005, la circolare dell’Agenzia delle dogane 18 luglio 2005, n. 27/D vietava ai CAD, che ricorrevano al regime di procedura domiciliata, di utilizzare l’istituto della rappresentanza diretta, precludendo loro il diritto di agire in nome e per conto degli importatori.
I CAD (Centri di assistenza doganale) sono una speciale società di doganalisti, istituiti per la prima volta con legge 6 febbraio 1992, n.66. In virtù di tale legge, gli spedizionieri doganali iscritti all’albo professionale da almeno tre anni possono costituire delle società di capitali, abilitate a emettere dichiarazioni doganali, in rappresentanza sia diretta che indiretta (previa l’acquisizione e il controllo della documentazione fornita dal proprietario delle merci), esercitando in tal modo attività di assistenza alle operazioni di import/export.
A livello normativo non vi è nessuna limitazione al diritto dei CAD di presentare dichiarazioni in dogana nella forma della rappresentanza diretta.
Ciò nonostante, l’Agenzia delle dogane, con circolare 18 luglio 2005, n. 27/D, aveva imposto ai CAD operanti in regime di procedura domiciliata di utilizzare obbligatoriamente l’istituto della rappresentanza indiretta, facendo derivare da tale obbligo la responsabilità solidale dei CAD in caso di contestazione dei maggiori diritti nell’ipotesi di accertamento anche a posteriori.
Negli anni, il frequente ricorso alla procedura domiciliata, senza che fosse consentito adottare lo schema della rappresentanza diretta, ha dato luogo a numerose contestazioni nei confronti dei CAD, considerati dall’Agenzia delle dogane automaticamente responsabili per le obbligazioni doganali, anche a seguito di rilievi o irregolarità sollevate nei confronti dei loro clienti.
Tale inquadramento ha comportato rilevanti conseguenze di carattere economico, posto che l’obbligo di assumere una responsabilità, in proprio, per le obbligazioni doganali dei propri clienti, anche nel caso di contestazioni che non potevano essere rilevate con gli ordinari poteri di controllo del professionista, ma emerse soltanto a seguito di approfondite verifiche proprie delle pubbliche autorità, ha determinato esposizioni finanziarie particolarmente significative che ha comportato, in alcuni casi, anche la liquidazione di molti Cad.
Nell’ambito del vasto contenzioso che ne è derivato, la Corte di Cassazione ha più volte sottolineato l’illegittimità della precedente prassi adottata dalle Dogane, evidenziando, in particolare, come non fosse corretto attribuire a società costituite da doganalisti abilitati a operare in rappresentanza diretta un’indefinita responsabilità oggettiva nell’esercizio della propria attività, anche nell’ipotesi in cui avessero operato in buona fede e con la dovuta diligenza (Cass., sez. V, ord. 31 ottobre 2019, n. 28066; Cass., sez. V, 14 gennaio 2020, nn. 417 e 418; Cass., sez. V, 28 gennaio 2020, n. 1856). In particolare, la Suprema Corte ha più volte precisato che non vi è nessuna incompatibilità, da parte del Cad, tra la possibilità di effettuare lo sdoganamento in procedura domiciliata e l’istituto della rappresentanza diretta in Dogana.
Soltanto con la circolare 19 gennaio 2015, n. 1/D, l’Agenzia delle dogane è tornata a riconoscere il diritto dei CAD di scegliere la modalità con cui operare.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha ribadito l’illegittimità della prassi delle Dogane di attribuire un’automatica responsabilità in capo ai CAD per il mero fatto di agire in procedura domiciliata.
Nel caso di specie, l’Ufficio delle dogane aveva contestato il valore doganale dichiarato al momento dell’importazione, rideterminandolo sulla base di una banca dati a uso interno (M.E.R.C.E.) e richiedendo il pagamento per maggiori diritti. La pretesa impositiva dell’Amministrazione era rivolta sia all’importatore che al CAD, ritenuto solidalmente responsabile, in quanto operante in rappresentanza indiretta.
La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo l’accertamento dell’Agenzia, ribadendo l’ormai consolidato indirizzo dei giudici di legittimità, in virtù del quale, nelle procedure di domiciliazione, l’importatore può rendere una dichiarazione semplificata, presentandola egli stesso oppure avvalendosi di un altro soggetto per suo conto, “senza che quest’ultimo debba necessariamente operare in regime di rappresentanza indiretta, ben potendo agire anche in regime di rappresentanza diretta” (Cass., sez. civ., 28 gennaio 2020, n. 1856).
La sentenza in commento conferma l’illegittimità dell’accertamento dell’Agenzia anche sotto un ulteriore profilo. La Suprema Corte ha dichiarato, infatti, che è illegittima la rettifica del valore doganale operata dall’Ufficio delle dogane, nel caso in cui l’accertamento sia fondato unicamente su un sistema rilevazione statistica, come la banca dati M.E.R.C.E. In caso di fondati dubbi, l’Amministrazione, dopo aver richiesto informazioni complementari e aver sollecitato il contraddittorio, deve dimostrare di aver applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, metodi immediatamente sussidiari individuati dal Codice doganale europeo (Reg. UE 952/2013, c.d. CDU), secondo la rigida sequenza prevista, indicando le ragioni che giustificano un eventuale discostamento (nello stesso senso, Cass., 8 maggio 2024, n. 12512; Cass., sez. V, sentenza 24 luglio 2023, n. 22200; Cass., sez. V, 16 maggio 2022, n. 15540; Cass., sez. V, 17 gennaio 2019, nn. 1114 e 1115).
Tatiana Salvi