Contrabbando e falso ideologico: il nuovo perimetro dopo la riforma doganale

Non trova più applicazione, in via automatica, il concorso tra la fattispecie di contrabbando e quella di falso ideologico del privato in atto pubblico (art. 483 c.p.). Con l’entrata in vigore delle Disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione (d.lgs. 141/2024, Dnc) è stata ridisegnata la disciplina del contrabbando. Con un’importante novità: in caso di contestazione penale, non ci sarà più un procedimento per contrabbando e uno per falso.

La dichiarazione doganale “mendace” è oggi ricondotta, in forza del principio di specialità, all’art. 79 Dnc (contrabbando per dichiarazione infedele), che ne assorbe la rilevanza penale sul versante del falso del privato. Ne deriva che, quando la falsa dichiarazione doganale non supera le soglie di rilevanza penale previste dall’art. 96 Dnc e non ricorrono le circostanze aggravanti indicate dall’art. 88 Dnc, la condotta è sanzionata esclusivamente in via amministrativa con l’applicazione di una pena pecuniaria. In tali ipotesi, infatti, l’illecito resta confinato nell’ambito amministrativo e non si affianca alcun procedimento penale autonomo, poiché la rilevanza penale del falso ideologico del privato in atto pubblico è integralmente assorbita dalla disciplina speciale del contrabbando per dichiarazione infedele introdotta con la riforma doganale.

In passato la violazione di contrabbando non restava isolata. Poiché si riteneva che fossero coinvolti beni giuridici distinti — l’interesse finanziario ed economico dello Stato e dell’Unione europea da un lato, la fede pubblica dall’altro — l’Autorità giudiziaria tendeva a contestare in concorso il reato di contrabbando e quello di falso ideologico del privato in atto pubblico (art. 483 c.p.). La dichiarazione “mendace”, infatti, era considerata offensiva non solo degli interessi Erariali e Unionali, ma anche della fiducia collettiva nella veridicità e autenticità degli atti pubblici.

A ciò poteva aggiungersi, in ipotesi specifiche, anche il reato di falso ideologico del pubblico ufficiale per induzione ex artt. 48 e 479 c.p., nei casi in cui l’Ufficiale verificatore, tratto in errore, avesse validato la dichiarazione come “conforme”, dando quindi origine a un atto pubblico il cui contenuto risultava non corrispondente alla realtà.

Tale ipotesi rimane, tuttavia, astrattamente configurabile anche nel nuovo regime. L’art. 79 Dnc assorbe infatti il falso del privato ex art. 483 c.p., ma non neutralizza la possibilità di contestare il falso ideologico del pubblico ufficiale quando vi sia un provvedimento formale di conformità ideologicamente falso, causato dall’induzione in errore da parte del dichiarante. Diversamente, se l’Agenzia delle dogane procede a un controllo documentale e accerta la difformità senza rilasciare un atto di conformità, non vi è spazio per l’applicazione degli artt. 48 e 479 c.p..

In altri termini, qualora l’Amministrazione ritenga la dichiarazione doganale “conforme”, può tornare in rilievo il falso ideologico del pubblico ufficiale per induzione ex artt. 48 e 479 c.p. La validazione di conformità costituisce infatti un atto pubblico che certifica la veridicità dei dati dichiarati; se questi si rivelano falsi e l’errore dell’autorità è direttamente causato dalla condotta del dichiarante, si apre la possibilità di configurare la responsabilità per induzione al falso.

L’assorbimento previsto dall’art. 79 Dnc opera, infatti, esclusivamente sul falso del privato, ma non esclude la rilevanza del falso del pubblico ufficiale quando sussistano i presupposti della fattispecie e vi sia un nesso causale tra l’induzione del dichiarante e l’attestazione non veritiera dell’Ufficio. In mancanza di tale prova rigorosa, la condotta resta confinata nell’ambito dell’illecito doganale e trova applicazione la sola sanzione pecuniaria.

Laddove, invece, il pubblico ufficiale sia effettivamente indotto dal privato a rilasciare un atto di “conformità” che recepisce come vere informazioni non veritiere, allora, oltre alla fattispecie base dell’art. 79 Dnc, può essere contestata l’aggravante di cui all’art. 88, comma 2, lettera c), Dnc per la connessione con un reato contro la fede pubblica (quale, appunto, l’art 479 c.p.), determinandone la rilevanza anche in sede penale e con l’applicazione della reclusione tra i 3 e i 5 anni.

Si pensi al caso di una dichiarazione di importazione in cui l’operatore indichi un’origine preferenziale non veritiera. Se l’Ufficio doganale, sulla base della documentazione prodotta, rilascia un provvedimento di conformità attestando la regolarità dell’origine dichiarata, ma in seguito accerta che l’origine effettiva è diversa, la condotta può integrare sia l’art. 79 Dnc (dichiarazione infedele), sia il falso ideologico del pubblico ufficiale per induzione ex artt. 48 e 479 c.p., con applicazione dell’aggravante di cui all’art. 88, comma 2, lett. c) Dnc. Diversamente, se la difformità viene rilevata già in sede di controllo documentale senza che sia stata mai rilasciata una certificazione di conformità, resta configurabile la sola fattispecie di cui all’art. 79 Dnc.

La chiave è tutta nei presupposti: deve esistere un vero atto pubblico di attestazione, il suo contenuto deve risultare ideologicamente falso, e tale falsità deve essere causalmente riconducibile all’induzione del privato ai sensi degli artt. 48 e 479 c.p. Solo in tale cornice l’aggravante “si accende”, in quanto la lesione non riguarda più soltanto l’interesse finanziario erariale o unionale, ma anche la fiducia collettiva negli atti pubblici.

Se, invece, la Dogana si limita semplicemente ad avviare il controllo documentale e riscontra la non conformità senza aver mai certificato la veridicità del dichiarato, manca l’errore certificativo del pubblico ufficiale e l’aggravante di cui all’art. 88, comma 2, lettera c), non è applicabile.

In assenza delle aggravanti previste dall’art. 88, le violazioni degli artt. 78–83 Dnc restano punite in via amministrativa. La rilevanza penale si configura soltanto quando i diritti evasi, distintamente considerati, superano le soglie oggettive: oltre i 10.000 euro per i dazi e oltre i 100.000 euro per i diritti di confine diversi dal dazio, tra i quali il Legislatore, a seguito della riforma doganale, ha incluso anche l’Iva all’importazione.

 

Tatiana Salvi

Osvaldo Trucco